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COME DIVENTARE ANTIFRAGILI?

Che cos’è la fragilità? Chi è la persona fragile?

La fragilità è comunemente, nella letteratura scientifica dedicata alla psichiatria, alla psicologia e alla sociologia, non considerata uno stato patologico in sé e per sé, sebbene ad esempio Pfanner la consideri il “principale rischio di insulto della fecondità e della libertà umana”. Sempre lo stesso autore riporta il pensiero di alcuni psichiatri dello sviluppo che sostengono quanto “sia particolarmente fragile una struttura della personalità non ancora consolidata da un assetto istintuale, intellettivo e affettivo stabile e da esperienze relazionali mature” continuando poi ribadendo che la fragilità infatti “non è una malattia ma una condizione di rischio inevitabile e particolarmente evidente in età evolutiva”: Va subito fatto notare che queste determinazioni sono particolarmente legate a una condizione insita alla fase evolutiva, in cui ovviamente è ancora in corso una crescita tanto neuronale tanto esperienziale dell’individuo, di conseguenza si sta considerando una fragilità temporanea e “inevitabile” in quanto insita proprio a questo periodo della vita umana. In realtà, in ogni fase della vita umana l’individuo può esperire una fragilità che è insita proprio alla stessa, basti pensare alla condizione media dell’anziano, per non parlare poi della fragilità della persona che vive disagio psicologico, malattie croniche o deficit organici comunque determinati e denominati. Inoltre, esiste la fragilità specifica delle persone che sono vittime di abusi di qualsiasi tipo, o vivono uno stato di tossicodipendenza o che hanno vissuto traumi profondi o esperienze drammatiche anche legate a calamità naturali. Vorremmo quindi porre all’attenzione delle persone un ulteriore concetto di fragilità che non è tanto legato a una fase specifica della vita umana, e, in virtù di questo, non necessariamente temporanea ma quantomeno potenzialmente evitabile o risolvibile (con i possibili interventi di cui parleremo) ma è legata all’aspetto sociale e ambientale. La fragilità infatti può travalicare l’ottica soggettiva e divenire un rischio oggettivo, scatenato dall’ambiente in cui si vive, ed è di conseguenza frutto di una difficoltà non  soltanto legata a un assetto anagrafico o psicologico/psichiatrico/organico dell’individuo, ma da problematiche strutturali di origine anche storiche all’interno di un territorio ma che può benissimo essere legata a questioni economiche e addirittura geografiche, che chiaramente poi sono comunque vissute dall’individuo che le rielabora e le rende parte del proprio vissuto. Non solo, ma come dice Taleb, la fragilità è legata a un aspetto di imprevedibilità: ciò che ci accade attorno e ciò che accade in noi e tramite noi è infatti in preda al caos (il “Cigno Nero”): entro certi limiti ci può essere una certa determinabilità e una possibilità di previsione:, ma oltre, appunto, non si può più prevedere, e dobbiamo quindi prepararci all’imprevedibile.

La fragilità quindi non può e non deve essere intesa in modo univoco, ma necessita di un approccio multifattoriale, multidisciplinare e aperto a qualunque considerazione, determinazione e soprattutto, soluzione. Bisogna poi fare attenzione alla dialettica oggettivo/soggettivo: se è vero che i fattori scatenanti la fragilità sono oggettivi, non è detto che una persona sia “condannata” a sviluppare una fragilità così grave da creare pregiudizio alla qualità della vita in un senso esteso e intenso: cioè, in altre parole, non tutte le persone che vivono una situazione di fragilità sociale/ambientale poi necessariamente diventano psicologicamente fragili. Nondimeno, un deficit strutturale di qualunque origine e tipologia della città, provincia, regione o Stato in cui si vive sono un problema serio che può veramente pregiudicare non solo la qualità della nostra vita, ma anche la nostra incolumità o la nostra salute, ed essere foriero alla fine di una fragilità psicologica anche in chi non ha una struttura della personalità “accogliente” in questo senso, a causa di esperienze cattive o veri e propri traumi.

Come diventare quindi antifragili?

L’Associazione M.A.R.IA. – APS, quindi, nello sforzo di coniugare tanto la visione individuale tanto quella sociale della fragilità, vuole agire in tutti i contesti in cui la fragilità può manifestarsi: dall’anziano con l’Alzheimer all’adolescente che ha difficoltà di inserimento nel proprio gruppo sociale, dall’adulto con difficoltà legate all’uso di sostanze stupefacenti alla madre single, dagli abitanti dei quartieri “difficili” al piccolo imprenditore sotto pressione, dallo sfollato a causa di una calamità all’immigrato appena sbarcato ecc. ecc..

Inoltre, la fragilità va interpretata anche non soltanto come fattore di rischio, come negatività, come nocumento alla possibilità di vivere una vita qualitativa ecc., ma anche come opportunità di crescita: la fragilità come crisi interiore che ci aiuta ad aumentare la nostra consapevolezza, la nostra autodeterminazione e ci insegna ad accettarci per come siamo e ad accettare le cose e le persone come sono, che ci insegna a essere contenti di ciò che abbiamo senza cercare freneticamente ciò che non abbiamo, che ci insegna il valore della sconfitta come occasione di rinascita, che ci insegna infine a ricercare in noi stessi le ragioni profonde del nostro essere e la nostra reale volontà, per progettare in modo efficace e soddisfacente la nostra vita con speranza e fiducia nel futuro.

Diventare antifragili quindi è un tentativo che va implementato in una miriade di modi, di approcci e di mentalità: bisogna fare attenzione al vissuto personale, alla propria personalità, autodeterminazione e all’ambiente che ci circonda. Occorre lavorare sulle strategie di rinforzo non solo del potere dell’individuo di poter adattarsi all’ambiente e poter esprimere il proprio potenziale, limando gli aspetti di vulnerabilità e abbattendo ogni  causa di disfunzionalità e improduttività, e soprattutto, potenziando la creatività personale nel cercare soluzioni alternative o inusuali, ma anche lavorare, anche a partire dallo stesso principio della creatività, per fare in modo di attuare una strategia efficace di prevenzione dei rischi sociali, quello che Taleb definisce un miglioramento concreto legato al ridurre, da parte di chiunque agisca nei confronti della collettività, l’asimmetria tra l’assunzione del rischio e l’irresponsabilità nei confronti dello stesso, che spesso deriva da letture troppo ottimistiche della realtà o da veri e propri comportamenti di “scarico” delle conseguenze negative dei propri atti ad altre persone o a tutta la collettività, trasferendo cioè la fragilità da una persona ad altri.

Bisogna quindi fare in modo che l’ambiente stesso diventi un luogo migliore, più vivibile in quanto più socialmente vigile e responsabile..

Concludiamo con una riflessione di Taleb: “L’antifragilità ci fa capire meglio la fragilità. Proprio come non possiamo migliorare la salute senza ridurre le malattie o aumentare la ricchezza senza prima diminuire le perdite, l’antifragilità e la fragilità sono gradi in uno spettro.”

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