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RAGGIUNGERE L’AUTONOMIA

Cosa significa autonomia? Che cosa significa essere autonomi?

Se il presupposto, il fondamento, del miglioramento dell’autonomia è il miglioramento dell’autodeterminazione, come avevamo stabilito precedentemente, si può già immediatamente evincere che anche in questa definizione – e nelle prassi derivate- occorre porre massima attenzione alla consapevolezza del sé e dell’altro: il ri-conoscere è anche qui un aspetto imprescindibile. Come infatti ci restituisce Deponte: “nell’individuo autonomo si legano capacità di riconoscere i bisogni propri e altrui, di mantenere relazioni positive con gli altri senza esserne sopraffatti, di sentire la propria responsabilità ma di trovare gli aspetti positivi e costruttivi, piacevoli persino, negli eventi che si affrontano, di cercare il successo senza bramarlo, di riconoscere i propri errori, di tollerare le ambiguità e le complessità della gente e delle situazioni.”

Infatti, la comprensione dei propri bisogni, la capacità di assumersi responsabilità e la capacità di mantenere relazioni sane non sono possibili senza un’efficace autodeterminazione: essere autonomi, cioè, significa prima di tutto essere autodeterminati.

Oltretutto, essere autonomi non significa dover fare tutto da soli: autonomia infatti non significa autarchia, e soprattutto non significa isolamento o alienazione dal prossimo, o affrancamento totale in virtù di  una non necessarietà del prossimo . Anzi, tutto il contrario: essere autonomi significa innanzitutto essere capaci di collaborare, nell’ambito di uno scambio proficuo di competenze, capacità, valori, visioni.

Questo è tanto più vero quanto più si affronta il discorso dell’autonomia delle persone che vivono difficoltà e sfide quotidiane, dovute a disabilità o ad altri problemi, sia personali che sociali. Se anche la persona che è relativamente affrancata da problematiche invalidanti o comunque  che riducono la qualità della vita infatti non può e non deve concepire l’autonomia, come detto, come totale “solipsismo operativo”, a maggior ragione chi vive situazioni di difficoltà deve primariamente imparare a relazionarsi in modo produttivo e soddisfacente col prossimo in virtù non solo di avvalersi della possibilità di ricevere ma anche di ripristinare la possibilità di dare. È fondamentale per la persona in difficoltà ritrovare il giusto equilibrio tra il farsi aiutare e il poter essere d’aiuto per il prossimo. Altamente controproducenti, infatti, sono gli atteggiamenti di iperprotezione, di sostituzione e di mortificazione delle capacità: l’operatore che agisce in prossimità delle persone in difficoltà deve infatti evitare totalmente ogni comportamento apprensivo, che può rivelarsi non solo controproducente, ma addirittura lesivo. Questo non significa chiaramente, evitare totalmente di intervenire in supporto di una persona bisognosa!

Come quindi occorre agire nei confronti di chi vuole migliorare la propria autonomia?

Occorre prima di tutto rispettare l’autodeterminazione che essi hanno raggiunto anche grazie alla nostra assistenza: i desideri, aspettative, bisogni e prospettive delle persone devono essere sacri, perché soltanto preservandoli, tutelandoli e promuovendoli potremmo realmente offrire delle opportunità per riottenere il massimo dell’indipendenza e poter implementare quel senso di “poter essere utili” che può stimolarli a loro volta, in fasi più avanzate dell’operazione di supporto, a mettere a disposizione quanto raggiunto per aiutare altre persone in difficoltà.

La nostra Associazione agirà concretamente in modo di consentire quanto più possibile a queste persone di essere parte di un gruppo in cui riconoscersi, essere aiutati da persone capaci di ascoltare e di comprendere il momento in cui realmente è necessario intervenire e che soprattutto siano in grado di farsi percepire il più possibile come alleati e non come persone sgradevoli e sgradite (in virtù, come spesso purtroppo possiamo notare, di operatività di sostegno “meccaniche”, fredde, poco umane): per Deponte infatti il punto focale del supporto “è che la relazionalità permetta lo sviluppo dell’autonomia attraverso la diminuzione della minaccia percepita: un clima di supporto come quello creato da rapporti sociali positivi fa calare il senso di minaccia nell’individuo e quindi dovrebbe favorire un comportamento autonomo.

Raggiungere l’autonomia quindi è, contemporaneamente, riconoscere di aver bisogno di aiuto ma anche capire in cosa e come ci si vuole far aiutare e,una volta ottenuto correttamente questo aiuto e averlo messo in pratica, aiutare a propria volta gli altri che hanno bisogno.

In conclusione: chi ha bisogno di aiuto deve saper essere aiutato,  può imparare a farsi aiutare e  può imparare ad aiutare.

BIBLIOGRAFIA:

  • Antonella Deponte, Autonomia: una, nessuna o centomila? in Tra personalita’ e motivazione: la teoria degli orientamenti di causalità, tesi di dottorato in Psicologia Sperimentale, 1998
  • Marco Pontis, La checklist per l’autonomia. Materiali per valutare e insegnare le abilità di autonomia nelle disabilità complesse, Erickson, 2019
  • Renzo Andrich, Progettare per l’autonomia, Giunti O.S., 2008
  • Carlo Lepri, La persona al centro. Autodeterminazione, autonomia e adultità per le persone disabili, Franco Angeli, 2016
  • Elio D’Orazio, Elogio e critica del volontariato, edUP, 2001

LA NOSTRA VISIONE DELLA PROMOZIONE SOCIALE

Cos’è il sociale?

Per tentare di affrontare il tema del sociale, occorre partire dal concetto di società. Nel determinarlo, bisogna sempre partire dal suo elemento fondante: l’individuo. Questo, chiaramente, non significa necessariamente che la società sia formata semplicemente da un insieme di individui: la società non va interpretata come la semplice somma delle persone che ne fanno parte ma rappresenta sempre un in più in questo risultato.

Chiaramente, questo non va a sminuire affatto il ruolo del singolo in mezzo agli altri: anzi, lo amplifica, richiamando la sua responsabilità e il suo potere d’azione.

L’individuo è con gli altri, ma occorre però distinguere l’individuo E gli altri.

Solo così infatti, il singolo può comprendere che ogni sua singola azione ha un valore assoluto, slegandosi da un’ottica eccessivamente unitaristica in cui ogni atto va interpretato necessariamente alla luce di una logica d’insieme: come dire, ogni cosa che l’individuo compie, ogni suo pensiero è primariamente espressione della propria unicitàprima ancora di essere letti come atti sociali vanno considerati come atti personali.

È così che quindi ognuno di noi può avere le carte in regola per rendersi partecipi, con la propria personalità, visione, sogni allo sviluppo sociale.

Come l’Associazione Nazionale M.A.R.I.A. – APS vuole intendere la promozione sociale?

Questo schema va proprio a identificare che, lungi da un vero e proprio rapporto di dipendenza reciproca o totale omogeneità, l’individuo può e deve mantenere una propria specificità , fatta di scopi e bisogni propri, mentre coopera e collabora con l’altro, per uno scopo comune a partire da bisogni comuni. In effetti, è difficile immaginare un agire sociale in cui non esista la considerazione per lo spazio individuale: se tutti, infatti, fossimo totalmente uguali, e non ci fosse spazio per l’individuo, si creerebbe un paradosso legato alla stessa utilità del promuovere azioni di miglioramento della società: la promozione sociale, è, quindi, legata alla necessità e alla volontà di fare in modo che individuo e società trovino armonia rispettando l’autodeterminazione del singolo e i bisogni della collettività, avvalendosi del punto di vista, della prospettiva e delle capacità di ogni persona. Ogni individuo deve poi saper trovare l’armonia tra il proprio essere singolo e la consapevolezza che si vive in uno spazio comune, in cui può e deve agire rispettando e considerando le altre individualità e tenendo a mente che ogni comunità ha una propria storia, tradizione, costumi, che non possono quindi essere semplicemente ignorati ma che sono attori importanti per determinare valori, abitudini, comportamenti. Ogni nostro atto, anche il più egoistico, si rapporta col prossimo e con una cultura sociale fortemente radicata: in ogni nostro agire deve essere riconosciuta una responsabilità e, di conseguenza, stabilire un’utilità per il bene comune.

Non è quindi un controsenso il fatto che la promozione sociale della nostra Associazione faccia forte leva quindi sul riconoscere che gli stili di vita sani e funzionali, prima ancora di essere divulgati, promossi, sostenuti direttamente in senso collettivo, vanno declinati nell’individuo: da qui, la nostra attenzione, come già stabilito altrove, per l’autodeterminazione, l’autonomia, l’antifragilità, le relazioni tra gli individui e tra individuo e collettività. Una società più consapevole e slegata da pregiudizi e da comportamenti anti-sociali deve partire dall’educazione dell’individuo, che deve vertere alla comprensione di essere una persona unica, dotata di libertà e diritti ma anche di responsabilità e doveri nei confronti del prossimo e della collettività.

E prima ancora di divulgare dei buoni stili di vita, occorre fare ricerca e divulgare la conoscenza scientifica e filosofica, renderla fruibile a chiunque, non solo cioè ai cosiddetti “addetti ai lavori”: il buono stile di vita ha infatti una ragion d’essere che va spiegata a partire da questioni concrete e non semplice arbitrarietà: lo scopo della nostra Associazione è infatti aiutare le persone anche a sapersi fare aiutare e poi a propria volta ad aiutare, a partire anche, al di là della fruizione dei nostri servizi, da una migliore consapevolezza di sé e dell’ambiente circostante. La conoscenza quindi, in modo graduale, pragmatico e “assistito”, deve essere implementata non solo per accrescere il bagaglio culturale del singolo in senso cumulativo, ma anche e soprattutto per un fine concreto e pratico: migliorare l’individuo e migliorare, contestualmente, la società.

BIBLIOGRAFIA:

  • Franco Ferrarotti,Che cos’è la società, Carocci 2003
  • Franco Ferrarotti, Sociologia. L’organo di auto-ascolto della società, Armando Editore 2023
  • Quirino Camerlengo, Costituzione e promozione sociale, Il Mulino 2014
  • Natale Palomba, Fondazioni, Associazioni, Terzo Settore e il Volontariato, Cavinato 2017
  • Marco Ingrosso, La promozione del benessere sociale. Progetti e politiche nelle comunità locali, Franco Angeli 2006
  • Reinhard Guncsh, Comunicare il sociale: promozione di cultura, in Contesti educativi per il sociale. Approcci e strategie per il benessere individuale e di comunità, Laura Cerocchi (a cura di), Erickson 2007
  • Sergio Ardis (a cura di), Chiara Bicchi (a cura di), Strategie e modelli educativi per la promozione del benessere: Atti della prima giornata di studio Fisciano, 22 Aprile 2016, Aonia Edizioni 2016
  • Fabio Folgheraiter, Teoria e metodologia del servizio sociale. La prospettiva di rete, Franco Angeli 2016

COME DIVENTARE ANTIFRAGILI?

Che cos’è la fragilità? Chi è la persona fragile?

La fragilità è comunemente, nella letteratura scientifica dedicata alla psichiatria, alla psicologia e alla sociologia, non considerata uno stato patologico in sé e per sé, sebbene ad esempio Pfanner la consideri il “principale rischio di insulto della fecondità e della libertà umana”. Sempre lo stesso autore riporta il pensiero di alcuni psichiatri dello sviluppo che sostengono quanto “sia particolarmente fragile una struttura della personalità non ancora consolidata da un assetto istintuale, intellettivo e affettivo stabile e da esperienze relazionali mature” continuando poi ribadendo che la fragilità infatti “non è una malattia ma una condizione di rischio inevitabile e particolarmente evidente in età evolutiva”: Va subito fatto notare che queste determinazioni sono particolarmente legate a una condizione insita alla fase evolutiva, in cui ovviamente è ancora in corso una crescita tanto neuronale tanto esperienziale dell’individuo, di conseguenza si sta considerando una fragilità temporanea e “inevitabile” in quanto insita proprio a questo periodo della vita umana. In realtà, in ogni fase della vita umana l’individuo può esperire una fragilità che è insita proprio alla stessa, basti pensare alla condizione media dell’anziano, per non parlare poi della fragilità della persona che vive disagio psicologico, malattie croniche o deficit organici comunque determinati e denominati. Inoltre, esiste la fragilità specifica delle persone che sono vittime di abusi di qualsiasi tipo, o vivono uno stato di tossicodipendenza o che hanno vissuto traumi profondi o esperienze drammatiche anche legate a calamità naturali. Vorremmo quindi porre all’attenzione delle persone un ulteriore concetto di fragilità che non è tanto legato a una fase specifica della vita umana, e, in virtù di questo, non necessariamente temporanea ma quantomeno potenzialmente evitabile o risolvibile (con i possibili interventi di cui parleremo) ma è legata all’aspetto sociale e ambientale. La fragilità infatti può travalicare l’ottica soggettiva e divenire un rischio oggettivo, scatenato dall’ambiente in cui si vive, ed è di conseguenza frutto di una difficoltà non  soltanto legata a un assetto anagrafico o psicologico/psichiatrico/organico dell’individuo, ma da problematiche strutturali di origine anche storiche all’interno di un territorio ma che può benissimo essere legata a questioni economiche e addirittura geografiche, che chiaramente poi sono comunque vissute dall’individuo che le rielabora e le rende parte del proprio vissuto. Non solo, ma come dice Taleb, la fragilità è legata a un aspetto di imprevedibilità: ciò che ci accade attorno e ciò che accade in noi e tramite noi è infatti in preda al caos (il “Cigno Nero”): entro certi limiti ci può essere una certa determinabilità e una possibilità di previsione:, ma oltre, appunto, non si può più prevedere, e dobbiamo quindi prepararci all’imprevedibile.

La fragilità quindi non può e non deve essere intesa in modo univoco, ma necessita di un approccio multifattoriale, multidisciplinare e aperto a qualunque considerazione, determinazione e soprattutto, soluzione. Bisogna poi fare attenzione alla dialettica oggettivo/soggettivo: se è vero che i fattori scatenanti la fragilità sono oggettivi, non è detto che una persona sia “condannata” a sviluppare una fragilità così grave da creare pregiudizio alla qualità della vita in un senso esteso e intenso: cioè, in altre parole, non tutte le persone che vivono una situazione di fragilità sociale/ambientale poi necessariamente diventano psicologicamente fragili. Nondimeno, un deficit strutturale di qualunque origine e tipologia della città, provincia, regione o Stato in cui si vive sono un problema serio che può veramente pregiudicare non solo la qualità della nostra vita, ma anche la nostra incolumità o la nostra salute, ed essere foriero alla fine di una fragilità psicologica anche in chi non ha una struttura della personalità “accogliente” in questo senso, a causa di esperienze cattive o veri e propri traumi.

Come diventare quindi antifragili?

L’Associazione M.A.R.IA. – APS, quindi, nello sforzo di coniugare tanto la visione individuale tanto quella sociale della fragilità, vuole agire in tutti i contesti in cui la fragilità può manifestarsi: dall’anziano con l’Alzheimer all’adolescente che ha difficoltà di inserimento nel proprio gruppo sociale, dall’adulto con difficoltà legate all’uso di sostanze stupefacenti alla madre single, dagli abitanti dei quartieri “difficili” al piccolo imprenditore sotto pressione, dallo sfollato a causa di una calamità all’immigrato appena sbarcato ecc. ecc..

Inoltre, la fragilità va interpretata anche non soltanto come fattore di rischio, come negatività, come nocumento alla possibilità di vivere una vita qualitativa ecc., ma anche come opportunità di crescita: la fragilità come crisi interiore che ci aiuta ad aumentare la nostra consapevolezza, la nostra autodeterminazione e ci insegna ad accettarci per come siamo e ad accettare le cose e le persone come sono, che ci insegna a essere contenti di ciò che abbiamo senza cercare freneticamente ciò che non abbiamo, che ci insegna il valore della sconfitta come occasione di rinascita, che ci insegna infine a ricercare in noi stessi le ragioni profonde del nostro essere e la nostra reale volontà, per progettare in modo efficace e soddisfacente la nostra vita con speranza e fiducia nel futuro.

Diventare antifragili quindi è un tentativo che va implementato in una miriade di modi, di approcci e di mentalità: bisogna fare attenzione al vissuto personale, alla propria personalità, autodeterminazione e all’ambiente che ci circonda. Occorre lavorare sulle strategie di rinforzo non solo del potere dell’individuo di poter adattarsi all’ambiente e poter esprimere il proprio potenziale, limando gli aspetti di vulnerabilità e abbattendo ogni  causa di disfunzionalità e improduttività, e soprattutto, potenziando la creatività personale nel cercare soluzioni alternative o inusuali, ma anche lavorare, anche a partire dallo stesso principio della creatività, per fare in modo di attuare una strategia efficace di prevenzione dei rischi sociali, quello che Taleb definisce un miglioramento concreto legato al ridurre, da parte di chiunque agisca nei confronti della collettività, l’asimmetria tra l’assunzione del rischio e l’irresponsabilità nei confronti dello stesso, che spesso deriva da letture troppo ottimistiche della realtà o da veri e propri comportamenti di “scarico” delle conseguenze negative dei propri atti ad altre persone o a tutta la collettività, trasferendo cioè la fragilità da una persona ad altri.

Bisogna quindi fare in modo che l’ambiente stesso diventi un luogo migliore, più vivibile in quanto più socialmente vigile e responsabile..

Concludiamo con una riflessione di Taleb: “L’antifragilità ci fa capire meglio la fragilità. Proprio come non possiamo migliorare la salute senza ridurre le malattie o aumentare la ricchezza senza prima diminuire le perdite, l’antifragilità e la fragilità sono gradi in uno spettro.”

L’ASSOCIAZIONE NAZIONALE M.A.R.I.A. – APS: CHI SIAMO, COSA VOGLIAMO (E DOVE ANDIAMO)

CHI SIAMO

L’Associazione Nazionale M.A.R.I.A. – APS (d’ora in avanti Associazione), secondo l’art. 1 dello Statuto, è un ente senza scopo di lucro del Terzo Settore, iscritto al RUNTS, con finalità civilistiche, solidaristiche e di utilità sociale. L’acronimo è così delineato: Miglioramento dell’Autodeterminazione della Realizzazione dell’Indipendenza e dell’Autonomia.

L’Associazione è configurata, secondo l’art 2, comma 2 dello Statuto, come Associazione di Promozione Sociale, seguendo le disposizioni degli artt. 4, comma 1 e dell’’art 35 del D. lgs. 117/2017, ovvero come ente che eroga servizi principalmente per i propri associati ma anche persone ed enti esterni e che ha l’ambizione e la responsabilità di sensibilizzare, informare e formare il contesto sociale di riferimento allo scopo del miglioramento della qualità della vita e della socialità, permettendo lo sviluppo civile nel concreto.

COSA VOGLIAMO E DOVE ANDIAMO

Fondare un’Associazione del Terzo Settore, nella fattispecie orientata alla promozione sociale significa, come si può evincere da quanto scritto precedentemente, avere intenzione di operare a favore del prossimo e della collettività: questo potrebbe sembrare pacifico e oltremodo una banalità. Quello che però vogliamo rendere chiaro è che la nostra visione del sociale è eminentemente DINAMICA e CONCRETA: quello che a noi interessa è comprendere e attuare come l’individuo interagisce col PROSSIMO all’interno di uno SPAZIO COLLETTIVO. La relazione tra individuo e individuo nell’ambito collettivo e contestualmente dell’individuo con la totalità dello spazio collettivo è FONDAMENTALE e rappresenta il fulcro della vita umana. La nostra idea di BENESSERE è infatti fondata sulla RELAZIONE: avere cura di essa deve essere quindi il nostro obiettivo, andando ad ANALIZZARE tutti gli aspetti conflittuali all’interno del nostro territorio e di conseguenza ATTUARE e OPERARE nel CONCRETO per consentire alle persone di avere un SOSTEGNO REALE nell’affrontare le problematiche legate alle Fragilità, che sono ovunque (anche in CHI CURA!) e sono COMPOSITE e COMPLESSE, per raggiungere una migliore AUTODETERMINAZIONE, superando l’ottica dell’oggettività sterile e controproducente nel definire i propri BISOGNI e le proprie ASPIRAZIONI, e raggiungere finalmente l’AUTONOMIA.

Un’altra parola chiave è, in virtù di tutto ciò, DINAMISMO. il MIGLIORAMENTO, infatti, non va inteso nella dialettica PUNTO DI INIZIO e PUNTO DI ARRIVO: occorre, cioè, identificare lo stesso col concetto di MANTENIMENTO. Chi vuole migliorare sé stesso, per divenire una persona più FUNZIONALE e INTEGRA, e poter AGIRE e INTERAGIRE CONCRETAMENTE nella e con la società, deve necessariamente raggiungere un EQUILIBRIO DINAMICO COSTANTE NEL TEMPO.

In altre parole, la persona fragile si FA AIUTARE, SI AIUTA e soprattutto AIUTA chi è parimenti fragile, instaurando un CIRCOLO VIRTUOSO che finalmente potrà iniziare a operare una concreta EVOLUZIONE SOCIALE.

MENS SANA IN SOCIETAS SANA.

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